I medici hanno trovato una cicatrice sul cuore: con un defibrillatore non potrà giocare in Italia
Mentre tutto tace all’ospedale Careggi, chiuso in un improvviso silenzio, l’équipe cardiologica che da domenica sera ha in cura Edoardo Bove esplora la difficoltà del caso. I dottori stanno passando al setaccio non solo lo storico diagnostico del centrocampista viola, ma anche il suo codice genetico, sempre nel tentativo di chiarire il perché dell’arresto cardiaco del Franchi. Il ritorno in campo, almeno quello in Italia, è ormai appeso a un filo sottilissimo, anche perché quella piccola cicatrice sul cuore, emersa nella risonanza magnetica ripetuta due volte dal ricovero, potrebbe avere una spiegazione più antica. L’aritmia sul prato e quei secondi sembrati anni potrebbero avere una origine subdola e difficilmente prevedibile. Per questo l’attenzione è massima sia sulla miocardite del 2020 figlia del Covid, che il talento allora alla Roma avrebbe superato con cortisone e riposo e senza apparenti strascichi, sia su eventuali fenomeni pregressi durante l’adolescenza. Da quel 2020 in poi, la risonanza magnetica cardiologica è diventata un’usanza nelle visite con idoneità sportiva fatte da Edoardo a Villa Stuart fino al 2023: nella clinica della Capitale confermano che niente di allarmante è mai apparso in quei tracciati, mentre i nuovi esami di secondo livello, successivi all’aritmia, hanno evidenziato l’impronta all’altezza del ventricolo sinistro. Ben prima di cederlo in prestito a Firenze (sarebbe scattato l’obbligo di acquisto con il 60% delle presenze) il 30 agosto, Bove ha comunque ottenuto l’idoneità sportiva per il 2024-25: la Roma in questo caso si era rivolta alla clinica Paideia, poi la Fiorentina non aveva ripetuto la pratica in un centro di Medicina dello sport convenzionato con il Coni. Per la legge, bastava avere in mano il precedente certificato, valido per la Federazione italiana.
nuovo reparto
—In mezzo a queste continue analisi e a questi rimpalli di documenti, c’è Bove, lì fermo in un’attesa difficile da mandare giù. Pimpante, in miglioramento costante, è ora nella terapia intensiva del reparto di Cardiologia, l’Utic, meno “emergenziale” di quella dell’equivalente del Pronto Soccorso, ma con tutto il supporto farmacologico e strumentale del caso. Lo descrivono come incredulo e anche irritato per il clamore attorno: vorrebbe solo essere trattato come un calciatore ai box, uno che quando è fuori causa, tifa a distanza i propri colori, come ha fatto ieri dall’ospedale. Era stato lui stesso a chiedere ai compagni di evitare magliette celebrative, ma ieri le immagini del Franchi lo hanno comunque commosso. Arriva direttamente da lui il diktat per il suo intorno: bocche cucite, parlano solo i canali ufficiali. Del resto, il momento è delicato, l’apprensione evidente anche davanti a Careggi, in cui anche ieri i dirigenti viola come d’abitudine sono venuti in visita nonostante la partita serale.
indagine genetica
—Per il secondo giorno di fila l’ospedale fiorentino non ha comunicato nulla, neanche un bollettino di circostanza, un po’ per proteggere la privacy richiesta e un po’ perché proprio nelle ultime trentasei ore il livello diagnostico si è fatto ancora più approfondito. Soprattutto sul versante del Dna per capire se c’era alla base una malattia di origine genetica, nel dettaglio una cardiomiopatia, da poter collegare a un caso “estremo” come quella di domenica scorsa: servirà almeno un mese per avere una mappatura completa con i risultati degli esami. Sia in questo caso così infido, che nell’eventualità di un danno successivo a una miocardite, anch’esso a volte sfuggente nei tracciati, la prassi cardiologica impone l’uso di un defibrillatore di “prevenzione secondaria”. È un piccolo apparecchio da impiantare attraverso una operazione che possiede tutte le funzioni del pacemaker e che, anche in caso di un’aritmia potenzialmente letale, dà una scarica elettrica al cuore attuando un “reset” del battito e ristabilendo un ritmo regolare.
come eriksen?
—Si tratterebbe dello stesso defibrillatore sottocutaneo che fu inserito sottopelle a Christian Eriksen nel 2021: se ne è già parlato in Cardiologia, la famiglia Bove è stata informata fin nel dettaglio. Il timore è che il caso del talento romano e del campione danese si assomiglino molto di più di quanto si pensasse all’inizio. Le stringenti regole italiane, figlie anche della tragica morte dell’ex capitano della Fiorentina Davide Astori, hanno impedito a Christian di continuare qua, ma l’ex Inter ora gioca felicemente in Premier, in un top team, nel grande United: in casi come questo la carriera può quindi andare avanti, pure ad alti livelli, ma sempre fuori dalla Serie A. Insomma, anche per Bove potrebbe presto aprirsi una prospettiva simile: la palla scorrerà sempre, ma Edo potrebbe inseguirla solo lontano da qui, in campionati differenti e più “permissivi” come quello inglese. Tre anni fa, all’epoca del caso Eriksen, Bove era solo un ragazzino di belle speranze che bussava alle porte della prima squadra, anzi proprio in quell’estate José Mourinho gli apriva la Trigoria dei grandi, ora è uno dei migliori talenti su piazza, arrivato giusto al momento del decollo. Per questo, è dura davvero a ventidue anni veder cambiare la realtà davanti in pochi attimi terribili e rassegnarsi all’idea di quanto sia bello semplicemente essere vivi: ieri Edo avrebbe soltanto voluto stare lì, al Franchi, in mezzo ai fratelli trovati in questa città.
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