In estate tutti convinti che Frattesi, Zielinski e Taremi fossero il top. Ma giocano sempre gli altri e loro vanno in affanno. Un film già visto alla Lazio
L’Inter delle riserve sbuffa, s’inceppa, frena: il Bologna spegne l’entusiasmo di San Siro, il Napoli resta lassù a più tre. E la grande questione nerazzurra diventa: come mai non si può giocare senza qualche titolare, perché senza quei due o tre uomini questa squadra sembra un’altra? Il cielo sopra Appiano Gentile si spacca: l’organico non è forte come si pensava, dice la destra; macché, questa rosa rende meno di quello che vale, replica la sinistra. L’affare non è di poco conto, perché decide l’attribuzione delle responsabilità. Insomma: la forza complessiva dell’Inter è stata sopravvalutata oppure è sottosfruttata?
la rosa migliore?
—Riavvolgiamo il nastro. Primavera/estate 2024, l’Inter prende due calciatori di primo piano svincolati: Zielinski, che dodici mesi prima ha vinto lo scudetto con il Napoli da titolarissimo, e Taremi, da anni punto fermo del Porto, club che vince in patria ed è competitivo in Europa. I commenti pressoché unanimi dipingono i nerazzurri come una squadra completa, forte in ogni reparto, senza punti deboli anche nelle alternative. È la migliore, dicono tecnici e osservatori, perché ha colmato le poche lacune che aveva. Del resto chi può contare su riserve del livello di Pavard, De Vrij, Frattesi, Zielinski, Carlos Augusto, Taremi? C’è anche chi si spinge oltre, forse esagerando: quale squadra di Serie A ha un centrocampo migliore delle riserve nerazzurre? Evidentemente anche in Asllani c’è una certa fiducia, benché il suo percorso di maturazione non sia stato rapido. Il nastro è riavvolto. Il calcio non ha memoria, ma è giusto ricordarsi quali fossero le convinzioni di (quasi) tutti a inizio stagione sulla forza dell’organico dell’Inter. Oggi, considerate le deludenti esibizioni delle riserve nerazzurre, è opportuno chiedersi se fossero errate tutte le valutazioni di allora oppure se sia stato sbagliato qualcosa nella gestione di chi non è titolare. Zielinski, Taremi e compagnia panchinara sono questi oppure rendono meno di quanto dovrebbero e potrebbero? E, nel caso, perché?
inzaghi e le scelte nette
—Inzaghi ha molti meriti nella gestione recente dell’Inter: la valorizzazione di alcuni giocatori anche in relazione al ruolo (da Calhanoglu regista a Dimarco fino a Thuram), il bel calcio espresso in più momenti, la capacità di creare un gruppo. Con tutto questo – e soprattutto con la superiorità tecnica della squadra, ovviamente – è arrivato alla seconda stella. Tra le indubbie capacità di Simone, però, sembra non esserci quella di gestire un organico ampio tenendo anche le riserve in condizione buona od ottima. Le sue scelte sono sempre nette, quasi definitive: c’è una formazione titolare e c’è un gruppo di calciatori che, salvo emergenze, non gioca mai le partite che contano di più, quelle di campionato (in Champions puoi anche prenderti qualche rischio, se sbagli due gare ti qualifichi lo stesso mentre in A perdi terreno e addio). Così accade che Frattesi, dopo un avvio di stagione straordinario anche in Nazionale, non trovi spazio: in 19 partite di campionato è stato titolare quattro volte, l’ultima il 30 ottobre a Empoli quando ha segnato una doppietta. Lo stesso vale per Zielinski: quattro incontri dall’inizio, ma due di questi negli ultimi cinque giorni, con Venezia e Bologna, quando Mkhitaryan era infortunato. È evidente che Inzaghi non si fida delle sue riserve e, se può, non tocca niente della formazione titolare, tanto che non ha mai fatto giocare nemmeno Martinez: il portiere pagato 13 milioni più bonus si è dovuto accontentare di partecipare a una gara di Coppa Italia tra le 28 stagionali dell’Inter. In questo modo si rischia poco nell’immediato, perché i giocatori conoscono compagni e schemi alla perfezione, ma si può creare un meccanismo che alla lunga non è virtuoso. Perché poi, quando hai bisogno dei Frattesi o degli Zielinski, li puoi trovare fuori forma dal punto di vista atletico oppure inquieti nel morale. Non solo: spremendo sempre gli stessi uomini, a un certo punto il fisico può presentare il conto. Com’è capitato più volte nella stagione a Calhanoglu. E com’è successo al trentaseienne Mkhitaryan dopo avere giocato da titolare 17 partite su 17 di campionato e due su due di Supercoppa. Inzaghi è questo, nel bene e, se volete, anche nel male. E queste sono le sue idee, le sue modalità di gestione del gruppo. Da sempre, non da oggi. Lo sa bene chi lo ha seguito e apprezzato alla Lazio: anche a Roma non toccava praticamente mai la formazione preferita, scelta maldigerita da chi prendeva i calciatori e li vedeva quasi sempre in panchina. E lì non aveva tutte le risorse tecniche di cui dispone all’Inter.
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