Volava sulla fascia come Eriberto nel Chievo dei miracoli, ma nel 2002 ammise che si chiamava Luciano e aveva 3 anni in più “Oggi vivo a Rio e seguo i ragazzi: se vedo talento chiamo l’Italia”
P rima di tutto era un reato. E poi anche una cosa difficilissima da gestire: vivere la propria vita con l’identità di un’altra persona, nome diverso, data di nascita diversa. Per farlo, era meglio andare il più lontano possibile perché vicino a casa qualcuno sapeva. Ma l’altra parte del mondo non era un posto sufficientemente distante, perché la coscienza non ha passaporto e non ha bisogno di prendere un aereo: viaggia con te e non ti abbandona mai. Se la ascolti, sei fregato. Se non la ascolti, la senti bussare. E prima o poi apri. La storia di Luciano Siqueira de Oliveira, che per qualche anno visse come Eriberto Conceiçao da Silva, sembra una sceneggiatura da film e probabilmente nell’era dei social sarebbe venuta a galla in fretta: un selfie, un post e addio al bluff che sconvolse il calcio italiano. Ma a cavallo del Duemila, senza smartphone e la bramosia di farsi comunque i fatti degli altri, l’inganno riuscì a reggere e chissà quanto sarebbe durato se non fosse stato proprio lui, il protagonista, a sfogarsi raccontandolo. Vale la pena rileggere tutto partendo dall’inizio, altrimenti non si riesce a capire davvero.