Juve, da Motta a Tudor la musica non cambia. E sono sempre tutti in bilico. Il commento

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Il confronto è 1,83 di media punti attuale contro 1,80. Lo scarto è davvero minimo, 0,03: in pratica, Tudor-Motta è finora un sostanziale pari, lo stesso esito che non affascina per niente il croato

Giornalista

“Non ho capito. Non ho mai giocato per il pareggio”. Chi guida la Juve ripete a voce alta una frase da scolpire nel bronzo. Era una delle premesse di Igor Tudor alla vigilia dell’1-1 di Bologna. Salvo poi adeguarsi alla realtà, da uomo di mondo: “Viste le squalifiche e le emergenze, buon punto”. L’attuale allenatore bianconero, nemmeno tanto a denti stretti, impara ad accontentarsi e si ritrova nella tonnara per la conquista di un posto in Champions League, unico vero scopo della sua missione. Per stilare le valutazioni finali, le famose pagelle di fine anno, nessuno però si può permettere di vivere soltanto di sensazioni, quindi è naturale affidarsi alle cifre, aride finché si vuole ma inequivocabili. Il tecnico croato, subentrato a nove turni dalla fine, in campionato ha raccolto 11 punti in sei gare, con una media di 1,83. Il predecessore, Thiago Motta, ne ha fatti 52 in 29 giornate, con l’1,80 di media. 

Di che si tratta, quindi? Il confronto è 1,83 contro 1,80, lo scarto è davvero minimo, 0,03: in pratica, Tudor-Motta è finora un sostanziale pari, lo stesso esito che non affascina per niente il grintoso e volitivo Igor. Che peraltro, nell’epoca dei tre punti per vittoria, non avrebbe tutti i torti. Se continuiamo ad affidarci ai numeri, le velocità di crociera di Tudor e Motta, in proiezione, in assetto costante nelle 38 giornate di A, frutterebbero una 69,5, l’altra 68,4 punti, soglie che nell’ultimo quinquennio non sempre hanno garantito il pass per la Champions. La svolta non c’è stata, o se c’è stata non si è ancora vista, come evidenziano i risultati. Cambiano i tecnici, non il passo-gara. Inutile fare finta di niente: non è soltanto una questione di panchina, di manico più o meno efficace. Sorge spontaneo il sospetto che l’organico abbia ancora limiti strutturali, chiunque ci sia ai comandi. È una riflessione obbligata per lo staff dirigente, da Cristiano Giuntoli in giù, in vista dell’ennesimo tentativo di rilancio. Ormai mancano tre turni alla conclusione, per l’annata in corso si è fatto tardi: anche i più ottimisti in casa Juve non si aspettano chissà quali effetti speciali. “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, ribadiva Giampiero Boniperti nei suoi anni d’oro. Adesso il club ha propositi più stringenti: strappare a tutti i costi il quarto posto. 

Juventus' coach Igor Tudor during the Italian Serie A soccer match Bologna FC vs Juventus FC at Renato Dall'Ara stadium in Bologna, Italy, 4 May 2025. ANSA /ELISABETTA BARACCHI

Il croato è nato a Spalato, sul mare: la definizione di traghettatore, in fondo, non dovrebbe disturbarlo. Il suo progetto, per limiti di tempo e di risorse, è meno glamour e scintillante rispetto ai piani più ambiziosi di Motta: chiaro, l’italo-brasiliano aveva davanti a sé un orizzonte di tre anni, di tutt’altro respiro. Per quanto precario, Tudor a ragione ha accettato la sfida e si è voluto mettere alla prova: certi treni non passano due volte. Pochi concetti base, un’idea più stabile di formazione rispetto al sistematico tourbillon di Motta, nessun effetto speciale: con le sue linee guida, Igor ha prodotto un paio di fiammate che hanno illuso un ambiente che scivolava verso la rassegnazione e l’ineluttabile. La tanto attesa scossa però non è arrivata, non ci sono state le impennate che avrebbero aiutato a mettere l’obiettivo minimo già al sicuro. Anzi, tutto è ancora in bilico. Come l’avvenire di Tudor, accolto come un medagliato reduce, dati i trascorsi in campo. Stavolta però, per decidere il futuro, non basterà il passato. E il presente riserva tre sfide che incideranno sugli assetti da giugno in poi. 

La Signora balla tra la quarta e la settima posizione assieme a Roma, Lazio e Bologna: tre concorrenti a quota 63, una a 62. Una situazione talmente fluida che tutti camminano sulle uova. A Tudor gli juventini chiedono il colpo di coda per qualificarsi alla coppa più ricca, giusto per lasciare un souvenir della sua rimpatriata a Torino. E magari anche per sbloccare quell’ingombrante pareggio con Motta.

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