La doppia sfida di oggi vista attraverso le proprietà dei club, i bilanci e le ultime scelte societarie
Una dinastia ultrasecolare (Agnelli-Elkann), un fondo (RedBird), un azionariato misto Italia-Usa (Percassi-Pagliuca), un patron vecchio stampo (De Laurentiis). Juventus e Milan, Atalanta e Napoli. Dietro le sfidanti di oggi si nascondono quattro gestioni ben riconoscibili. Le differenze sono evidenti, sebbene non manchino i tratti in comune. Tutte perseguono la sostenibilità: a Bergamo e Napoli ci sono arrivati prima, seguiti dalla Milano rossonera, a Torino hanno bisogno di tempo. Bianconeri e rossoneri sono i più assimilabili, con ricavi tra 350 e 400 milioni, ma questi sono anche i club che negli ultimi anni si sono distanziati di più: nel biennio 2022-24 la Juve ha perso 323 milioni, il Milan ne ha guadagnati 10. Atalanta e Napoli sono tutt’e due campioni di profitti, grazie al player trading, con un distinguo: la proprietà bergamasca, apertasi all’internazionalizzazione, ha investito nelle infrastrutture, la seconda ancora no.
juventus
—Il Covid, gli investimenti sbagliati, le inchieste. Guai in serie per la Juventus, dopo i nove scudetti di fila e le due finali di Champions del decennio precedente. Uscito di scena Andrea Agnelli, John Elkann ha assunto un pieno protagonismo imponendo uomini di fiducia nel club. La ricapitalizzazione da 200 milioni del 2024 è stata la terza in quattro anni, per un totale di 900. Un’immissione di equity senza eguali, fondamentale per mettere in sicurezza la Juve. Ma non può essere mecenatismo fine a se stesso, anche perché Exor, la cassaforte di famiglia, opera come una società d’investimento. Da qui uno stringente piano di risanamento che dipende, in primis, dalla capacità dell’area sportiva guidata da Giuntoli di rendere efficiente la gestione della rosa. Il bilancio 2023-24, senza le coppe, si è chiuso con un deficit di 199 milioni. Ma il taglio della spesa è già a buon punto, in linea con l’obiettivo dell’utile nel 2026-27. A patto di restare in Champions.
milan
—Elliott ha risanato il Milan, RedBird l’ha consolidato. L’ultimo step, quello della crescita su scala globale, deve materializzarsi, anche perché il progetto dello stadio non è ancora decollato. In ogni caso, il destino rossonero è ormai in mano ai fondi. L’epopea berlusconiana? Un ricordo lontano. Il ritorno dell’investimento è il mantra. Eloquente la scelta di imporre parametri e tetti nelle trattative di calciomercato. Tornando in Champions, rispolverando il marchio e centellinando le spese, sono arrivati due utili consecutivi (+6 nel 2022-23, +4 nel 2023-24), dopo aver perso 504 milioni nei quattro anni precedenti. Pure il 2024-25 chiuderà in sostanziale equilibrio, ma l’attuale posizione in classifica mette a rischio i fondamentali premi Champions. Intanto, Cardinale ha rifinanziato il vendor loan guadagnando tempo fino al 2028. Elliott ha incassato 170 milioni e si appresta a piazzare un altro uomo nel cda, al fianco dell’influente Gordon Singer.
atalanta
—L’Atalanta registra profitti, ininterrottamente, dal 2016 (+12 milioni nel 2023-24). In questo arco di tempo, ha frequentato spesso il giardino della Champions e conquistato l’Europa League. E ora lotta per lo scudetto. Coniugare bilanci e risultati è un’impresa, specie in Italia. E il merito va alla gestione sapiente dei Percassi. Non a caso, quando la maggioranza è passata alla cordata Usa di Pagliuca, Antonio e Luca sono rimasti presidente e ad. La crescita sostenibile del club ha consentito, via via, di alzare l’asticella delle spese (stipendi raddoppiati nell’ultimo quinquennio). E le ricche plusvalenze (71 milioni nel 2023-24), frutto delle vendite di gemme scovate in Europa, sono state reinvestite non solo sulla squadra ma anche sulle infrastrutture. Dopo lo stadio, ecco l’ampliamento di Zingonia: mobilitati complessivamente 140 milioni.
napoli
—Aurelio De Laurentiis ha imposto quasi subito l’autosufficienza. Dopo aver versato 16 milioni nei primi anni tra C e B, da quando il Napoli è in A, cioè dal lontano 2007, il produttore cinematografico non ha più immesso equity. Gli ultimi due esercizi, in particolare, sono il manifesto della sua gestione: costi sotto controllo e monetizzazione del talento. Lo scudetto del 2023 è arrivato in una stagione iniziata con l’addio dei senatori (Insigne, Mertens), necessario perché i tre esercizi precedenti – funestati dal Covid – avevano registrato una perdita cumulata di 130 milioni: stipendi tagliati di 20 milioni, player trading a quota 83 (Koulibaly 42) e utile di 80 milioni. Nel 2023-24 altri 63 milioni di profitti, grazie a 73 milioni di proventi dal calciomercato (Kim 37) e al boom commerciale. Al 30 giugno 2024 la liquidità ammontava a 211 milioni. Così De Laurentiis, senza mettere mano al portafogli, si è potuto permettere Conte. E con la fresca cessione di Kvaratskhelia il ciclo produttivo continuerà.
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