Il presidente della Figc Gabriele Gravina aveva dato la disponibilità a sperimentare importanti innovazioni per migliorare il gioco
La quiete, dopo la tempesta, porta con sé la solita serie un po’ inutile di interrogativi: dov’era il Var?, perché non è intervenuto?, perché non ha chiamato l’arbitro? Domande fini a se stesse che non fanno altro che alimentare sterili polemiche ed esasperare i toni. Così facendo non si fa che aumentare la distanza tra la gente comune, che si sente legittima “proprietaria” del gioco del calcio, e la classe arbitrale, chiamata proprio a rendere il gioco del calcio più giusto agli occhi della gente. Un paradosso. Allora, una domanda costruttiva sarebbe: perché non fare la Var a chiamata, il cosiddetto challenge in uso nel basket e nel volley?
Sperimentatori
—All’alba di questa stagione, il neo rieletto presidente della Figc Gabriele Gravina aveva annunciato la disponibilità italiana a sperimentare importanti innovazioni per migliorare il calcio e proiettarlo nel futuro. Dal tempo effettivo al sistema elettronico di comunicazione tra allenatore e capitano, per finire proprio con la Var a chiamata e con la possibilità per l’arbitro di motivare in campo le decisioni assunte con l’ausilio della tecnologia. Gravina aveva scritto all’Ifab – l’organo internazionale deputato a modificare le regole del calcio – manifestando la volontà dell’Italia di fare da “apripista” a tali forme di sperimentazione. “Vogliamo dare il nostro contributo per migliorare il calcio – aveva dichiarato il numero uno delle Federcalcio – allo scopo di rendere il gioco sempre più attrattivo e spettacolare, soprattutto per i giovani. Sappiamo che il percorso verso l’innovazione deve essere condiviso e poi realizzato, ma se non si comincia non si arriverà mai a modificare lo status quo”. Invito accolto, il challenge è allo studio dell’Ifab.
giallo pesante
—La Var è nata con un protocollo “ristretto” affinché non diventi una moviola in campo che spezzi la fluidità del match, rendendolo uno spettacolo poco fruibile. Allo stesso tempo, però, questa limitazione dell’intervento – 1) gol; 2) calcio di rigore; 3) espulsione diretta (non seconda ammonizione); 4) scambio d’identità – è essa stessa limitante, cioè portatrice di fastidiosi cortocircuiti come quello occorso sabato a Empoli. Tomori espulso per seconda ammonizione cercando di fermare un giocatore in sospetto fuorigioco; fuorigioco però impossibile da verificare in quanto il Var non può operare nel caso di cartellino giallo. Un vero paradosso. La seconda ammonizione, data o mancata, ha lo stesso peso di un’espulsione diretta nell’equilibrio della gara e in quella successiva, per via della squalifica. In questo campionato di errori del genere ne abbiamo visti tanti. Fra gli esempi più eclatanti, Napoli-Lecce (secondo giallo non dato a Di Lorenzo), Juventus-Cagliari (secondo giallo eccessivo a Conceiçao) e Lazio-Como, in cui addirittura si sono verificati entrambi i casi (secondo giallo mancato a Pellegrini e sbagliato a Tchaouna). Una soluzione quindi potrebbe essere allargare il protocollo Var e allo stesso tempo restringere il numero delle chiamate grazie al challenge.
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