Claudio Ranieri generale di Roma: un’analisi di Marco Bucciantini

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Per l’ambiente giallorosso è come Charles de Gaulle: quando l’emergenza è massima, si ricorre a lui. Che parte dalle basi, percepisce, studia e mette “i monumenti” al centro della sua Roma

Cinquantuno anni, due mesi e due giorni fa, verso le quattro del pomeriggio, il testaccino figlio di Mario il macellaio, cresciuto nel quartiere del mattatoio, non riuscì a intuire la traiettoria sghemba del tiro di Sidio Corradi: la palla gli sfilò davanti, lenta ma inesorabile, e alle spalle del nostro protagonista – Claudio Ranieri, esordiente con il numero due e i compiti del terzino di marcatura nella Roma allenata da Manlio Scopigno – arrivò immediato e perspicace l’esperto Gigi Simoni, capitano del Genoa, e all’ultima sua stagione da calciatore: gol semplice, decisivo e definitivo, 2-1 per i liguri. Ranieri agita le braccia (le stende e le allarga, mostrando i palmi, una postura che ripete tutt’oggi) che vale come gesto di stizza e come scusa. Nessuno intorno sembra accusarlo di niente in particolare.

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